Dal libro: Armando Tami - \"Alegar e Grazia\" - Poesie Dialettali pubblicato in occasione del 10° anniversario della morte di Armando Tami
Nella cura di questa ultima riedizione delle poesie di Armando Tami Villarte ha voluto lasciar parlare soprattutto l\’autore. Per questo apre il volume un suo inedito, trovato dattiloscritto fra le sue carte, che egli compose in occasione della presentazione, presso il Rotary Club di Pallanza – Stresa, della prima edizione di \”Alegar e Grazia\”, nel quale egli profuse quella pungente verve satirica che caratterizza inequivocabilmente le sue rime. E che non risparmiava neppure a se stesso, celando da un lato il significato e il valore del suo lavoro dietro una sorta di scanzonata e divertita autocritica, ma dall\’altro rivelandone appieno lo spirito, lieve e sbarazzino, ma impareggiabile nel cogliere vizi, virtù e profondità di cose, fatti e persone. All\’autoritratto morale che tale inedito e le poesie recano di Armando Tami, Villarte ha voluto affiancarne uno più propriamente biografico, affidandosi alla competenza di Danila Tassinari e integrando il tutto con una selezione di fotografie provenienti dagli album personali che egli ha lasciato, insieme ad altri preziosi ricordi, all\’Associazione. La scelta ha voluto ripercorrere sia la vita dell\’uomo, ma anche rivelarne le passioni, da quella per l\’arte e la montagna alle ricerche storico – archeologiche, condotte con Villarte, fino al meritato riconoscimento del Cavalierato. Negli intenti di Villarte questa edizione vorrebbe essere definitiva: al corpus delle poesie licenziate dall\’Autore nella precedente ristampa accresciuta sono stati aggiunti nella presente alcuni componimenti inediti comparsi estemporanei su pubblicazioni occasionali la cui reperibilità risulta ormai difficile. Villarte ha inoltre ritenuto opportuno, per una migliore valorizzazione e comprensione del testo dialettale, integrare le note esplicative che già l\’Autore aveva predisposto alle sue poesie con altre, che traducano espressioni e termini specifici. Nel fare ciò ha voluto comunque salvaguardare l\’autenticità del lavoro di Armando Tami trattando tipograficamente le note aggiunte in modo diverso, per una immediata distinguibilità.
Un omaggio contenuto, ma partecipato, a un uomo discreto e raffinato, che ha saputo legare il suo ricordo non solo alla beneficenza, ma anche e soprattutto alla cultura.
Febbraio 2009
Villarte
Presentazione
Ho conosciuto Armando Tami parecchi anni fa, grazie a un vicino e amico, precocemente scomparso, che, nel buon esercizio d\’un\’arte frugale in un luogo modesto, mostrava il rispetto e il desiderio d\’una cultura.
Il Tami mi fu presentato come l\’autore d\’un parco libretto di versi dialettali, e per analogia non mi stupii di trovare in lui un cultore privato di musica barocca. Ma il rapporto di questi due attributi non è ovvio a prima vista, o diventa comprensibile solo se essi sono assunti nel segno d\’una comune partecipazione a un\’intensa domesticità.
Voglio dire che la sua dialettalità astrae da cure formali di novero sillabico, d\’accento e simili, condensandosi nelle sue vere riuscite in ciò che è la paesanità dell\’oggetto. Qui occorrerebbe un lungo giro metodologico, che per la poesia dialettale è possibile solo nel presente secolo. Basti ricordare che, mentre il Manzoni deplorava che un poeta della potenza del suo amico Porta non si fosse espresso in uno strumento linguistico più universale, al Momigliano toccava il merito di averlo introdotto senza paratie nella nostra storia letteraria. In concreto più tarda ancora apparve la grandezza del Belli, e solo il Croce, ammiratore dei suoi vernacoli da Basile al Di Giacomo, fornì una giustificazione teoretica della letteratura dialettale \”riflessa\” a partire dall\’età barocca, giustificazione che fu dimostrata valida fino agli inizi delle nostre lettere. Il secolo attuale è stato ed è fertile non unicamente di dialettali puri o bilingui (come Pasolini), ma di \”plurilingui\” (da Pavese al limite di Gadda), e i letterati che riflettono sulla letteratura altrui non di rado si sono applicati a quella dialettale: l\’ultimo esempio che la posta mi ha portato è il grosso volume che il Comune di Trieste ha dedicato al suo Virgilio Giotti. Chi scrive si scusa di citarsi, ma, poiché ciò serve al ragionamento, non può dimenticare di aver contribuito a celebrare in Albino Pierro e in Tonino Guerra due poeti che si
sono ispirati matericamente ai loro dialetti, che sono fra i più stravaganti d\’Italia, Tursi in Lucania e Sant\’Arcangelo di Romagna.
Mi scuso di abbreviare necessariamente il discorso per precisare che i dialettali, anche se non hanno la statura di un Porta o di un Belli, criticamente non passano ormai per distinguibili in \”misura\” dai loro colleghi in lingua; semmai sono scrittori di stile speciale, come prova già l\’interesse di cui sono oggetto: in fondo chi li tratta ancora da poëtae minores usa paradossalmente una categoria qualitativa. Si tratta di un modo di scrivere piuttosto che di un modo di vivere.
E il caso che abbiamo fra mano è proprio un modo di vivere; e un atto di amore al luogo natio, \”un gran borgo al giorno d\’oggi\”, scriverebbe il Manzoni, \”e che s\’incammina a diventar città\”. Situato su una grande strada nazionale, questo borgo è esposto all\’invasione del mondo esterno, e il Tami cerca di preservarne gli idiotismi della vita antica, i toponimi meglio connotativi e del borgo e della valle che in esso incontra la vallata principale (il suo presupposto è fluviale, come la Francia descritta dal Tasso), appena può ricorre ad arcaismi lessicali e fonetici, sottolineati, in questa che è una seconda edizione arricchita, da una grafia un po\’ più rispettosa della realtà di pronuncia. Ma è ormai tempo di mostrare con precisa designazione come questo modo di vivere si realizzi al suo meglio nell\’inventariare i paesani piaceri: in Cà sua (aggiunta della nuova edizione) essi mostrano la loro, per così dire, sinonimia di piaceri con la perfetta monorimità (tale solo per il dialetto di questa vallata) in -ua e la tendenziale {utinam fosse totale) isosillabicità dei versi: \”cun la pipa, la grapa, la srua, la funtina cla vegn da la Frua, la pansceta, ul bür, la carn crua\”. La quasi-sinonimia è appunto quest\’avvolgersi sopra se stesso in cui consiste il Tami migliore: esempio (che si avvantaggerebbe della simmetria esatta) \”la filusmia, la curnüra, ul soiamì, la danda, la
cira dul re dla salütt (La salütt bunanima). E importa poco che si tratti di uno degli abbondanti temi folclorici di laudator temporis acti, importa il modo di porgere. E comunque importa di essere fra i numeratissimi praticatoti della parlata antica, che di intimità è il miglior documento.
Novembre 1987
Gianfranco Contini
ALEGAR E GRAZIA
Alegar e grazia e schisem tant
Söss e Vigui, Cai, Ghett e Magui:
u saress comud a tratau cui guant
a fa cumpliment tùtt i sarésan bui.
Ma u savrii bé che a sema tùtt nasì
cun dò bisacch: l’e piena quela cl’è
davanti, di difett e dal malaurì
dul prosim e quela cl’é inda dré,
quela che i nöst öcc i vegan mia,
cl’a ga dent, casei a sett a sett,
mescei su a mücc e zanza culumia,
tùtt i nost malaurì e i nöst difett.
Ma mi a sun di vöst, mi au vöi ben,
jent da Vila, d’Antruna e Viganela,
da Crest e da Sapiana e Muntaschen,
però ufàndiu mia, porca la sidela,
par quatar balùsa scricc in puesia
e par di pù mess jü int’in dialett
che la pi part in’ul capisan mia:
aures vega chi cl’é zanza difett!
Alegar e grazia, però cradìm püra
che se, zanza vurel, in sti puesì
u ghe quaidùn cu fa brüta figüra,
quela figüra a la fagh propi mi!
Alegar e grazia e lasema püra
che certi furest i gàbian da dii:
eben, sarem forse indré ad cutüra,
sarò inca mi bacan, ma qué cu lii,
sun mia du quii chi la metan jü düra,
sun inca mi ina tapa via dau sciücch
e a m’ufendi s’im mancan da rispett,
però, sü lii salvaa la verza e ul bücch
u cunvegn tesa e fagh sü in ghignett.
Quant ai furest e a certi mamalücch
Chi la san lunga me Mogia, a sentai lor,
i faresan mei a pensaa ai söi difett
e au su magagn d’ogna sorta e culor:
i gan inca lor in sacch cl’è ben pesant!
Alégar e grazia e schisem tant.
FRAGAI
A la fin din bun disnaa,
su fei cas, su la tuaia,
vigarii che l’é restaa,
se e no, na quai fragaia.
Stu dialett, ja mezz’amscuu,
vigarii che, dai e dai,
u sarà prest smantiguu,
ug sarà püma al fragai.
Oramai us gnoss foo pü
que cl’é fen e que cl’é paia:
a vanzarema, tütt al pü
dul dialett, na quai fragaia.
E par questa m dag da faa
a traa’nzema e cunservai
sti pruerbi, sta parlaa,
sti jargui, sti poch fragai.
Alegar e grazia e schisem tant
Söss e Vigui, Cai, Ghett e Magui:
u saress comud a tratau cui guant
a fa cumpliment tùtt i sarésan bui.
Ma u savrii bé che a sema tùtt nasì
cun dò bisacch: l’e piena quela cl’è
davanti, di difett e dal malaurì
dul prosim e quela cl’é inda dré,
quela che i nöst öcc i vegan mia,
cl’a ga dent, casei a sett a sett,
mescei su a mücc e zanza culumia,
tùtt i nost malaurì e i nöst difett.
Ma mi a sun di vöst, mi au vöi ben,
jent da Vila, d’Antruna e Viganela,
da Crest e da Sapiana e Muntaschen,
però ufàndiu mia, porca la sidela,
par quatar balùsa scricc in puesia
e par di pù mess jü int’in dialett
che la pi part in’ul capisan mia:
aures vega chi cl’é zanza difett!
Alegar e grazia, però cradìm püra
che se, zanza vurel, in sti puesì
u ghe quaidùn cu fa brüta figüra,
quela figüra a la fagh propi mi!
Alegar e grazia e lasema püra
che certi furest i gàbian da dii:
eben, sarem forse indré ad cutüra,
sarò inca mi bacan, ma qué cu lii,
sun mia du quii chi la metan jü düra,
sun inca mi ina tapa via dau sciücch
e a m’ufendi s’im mancan da rispett,
però, sü lii salvaa la verza e ul bücch
u cunvegn tesa e fagh sü in ghignett.
Quant ai furest e a certi mamalücch
Chi la san lunga me Mogia, a sentai lor,
i faresan mei a pensaa ai söi difett
e au su magagn d’ogna sorta e culor:
i gan inca lor in sacch cl’è ben pesant!
Alégar e grazia e schisem tant.